Appunti e Lezioni
giovedì 25 ottobre 2018
Filosofia dello Spirito Hegel
Lo Spirito costituisce il momento culminante del divenire dell'Idea. Esso, infatti, è l'Idea
pienamente attuata, l' Idea che ha preso coscienza di sé.
Per Hegel, come si è detto, tutto è Idea, il che vuol dire: tutto è intelligibile, razionale; ma
l'intelligibilità del reale non è data di colpo: essa si attua, progressivamente, attraverso il
cammino dialettico.
Questo cammino dialettico culmina appunto nello Spirito: abbiamo già visto nella
Fenomenologia come Hegel, con questo termine, indichi non tanto un’entità trascendente, né
la semplice coscienza individuale, quanto il mondo delle relazioni umane, dei valori, delle
istituzioni, ciò che noi oggi chiameremmo – in generale – cultura.
Lo spirito dunque è l'uomo, l'Umanità intesa non come razza biologica particolare, ma come
entità autocosciente, razionale e libera.
L’uomo è spirito in quanto appartiene a una comunità culturale, o anche – appunto –
spirituale. Nella comunità, tra gli altri, l’uomo associato è un soggetto attivo che realizza se
stesso nelle attvità che danno vita alla società.
In questa sua dimensione associata, culturale, spirituale, l’uomo trova se stesso, realizza la
sua dimensione più propria: in linguaggio hegeliano, l’idea torna a se stessa dopo la caduta
nel mondo naturale.
La vera ricchezza dell’idea sarà dunque nella dimensione culturale, non in quella naturale,
nel momento dello spirito, ossia nell’uomo, l’idea ritrova se stessa; nel momento della
natura, l’idea si era allontanata da sé.
Allo spirito, quindi, Hegel guarda come al momento decisivo del progresso dell'Idea e ne
descrive l'intimo sviluppo, che avviene attraverso i tre momenti dello spirito
• soggettivo;
• oggettivo;
• assoluto.
. Lo spirito soggettivo
Lo spirito soggettivo è lo spirito individuale, la singola esistenza, ossia l’individuo
separato dalla trama delle relazioni sociali, degli scambi intersoggettivi e dei rapporti
istituzionali: è il singolo astratto (separato) dalla comunità.
Lo spirito soggettivo è appena uscito dalla natura, di cui porta ancora le tracce: esso è
dunque considerato nel suo lento e progressivo emergere dalla natura, attraverso un
processo che va dalle forme più elementari di vita psichica alle più elevate attività conoscitive
e pratiche.
La filosofia dello spirito soggettivo si divide in tre parti:
• antropologia;
• fenomenologia;
• psicologia.
L’antropologia considera lo spirito come anima, la quale si identifica con la fase iniziale,
primitiva della vita cosciente, studia lo spirito nel suo progressivo differenziarsi dall’esteriorità
naturale: suo oggetto sono le interazione fra l’anima e il corpo, ciò che noi chiameremmo
oggi i fenomeni psicofisici, nei quali la vita psichica è strettamente connessa alla parte fisica e
corporea (la sensazione, il sonno, la veglia, le relazioni sessuali, le emozioni e il loro agire sul
corpo etc.).
La fenomenologia studia lo spirito in quanto coscienza, autocoscienza e ragione e riprende
le figure principali di cui Hegel aveva già parlato proprio nella Fenomenologia dello Spirito (è
la scienza della coscienza).
Infine la psicologia studia lo spirito individuale nelle forme universali del conoscere: intuizione,
rappresentazione, memoria, immaginazione, linguaggio, volontà: si tratta delle classiche
facoltà cognitive).
Lo spirito oggettivo
Lo spirito oggettivo è lo spirito che si realizza in un mondo distinto da quello della natura: il
mondo delle leggi, della politica, delle istituzioni e dei costumi.
Lo spirito oggettivo rappresenta il momento della
• dimensione relazionale e intersoggettiva: lo spirito non è più astratto, ossia
separato dalla comunità, egli anzi si oggettiva nelle istituzioni sociali e politiche,
nelle relazioni giuridiche e morali tra i membri della comunità.
Hegel afferma che lo spirito oggettivo è la realizzazione della libertà, e la libertà è l'unità
del volere razionale con il volere del singolo; non è dunque l'arbitrio, ma è la volontà che si
adegua a ciò che prescrive la ragione, ossia alla legge.
Hegel, anzi, identifica libertà e legge. Si capisce, quindi, come il primo momento dello
spirito oggettivo sia proprio quello della
• legge, del diritto astratto.
Il diritto realizza la prima forma di libertà dell'individuo, quella che riguarda l'insieme dei
rapporti esteriori fra i soggetti che costituiscono una comunità.
Nel diritto astratto l'individuo diviene infatti una persona giuridica e ciò, per Hegel, significa
essenzialmente soggetto capace di proprietà.
Il diritto tutela la libertà esterna della persona garantendola, appunto, come proprietario e
tutti i rapporti fra i soggetti di una comunità sono appunto rapporti regolati dalla proprietà.
Al lato esterno, superficiale, astratto e formale della libertà si contrappone quello della legge
interiore. E la legge interiore non può che essere quella rappresentata dalla
• vita morale (moralità, secondo momento dello spirito oggettivo).
Se nel diritto astratto l'individuo è persona giuridica, nella moralità è soggetto, ossia volontà
consapevole che accoglie la legge morale solo in quanto la riconosce come cosa sua.
La libertà si presenta qui come capacità di dare leggi a se stessi nell’intimo della coscienza.
La moralità cede il passo alla
• eticità (terzo momento), che, per Hegel, è il vero compimento della libertà; è il luogo
dell’agire secondo prospettive non più individuali ma comuni.
La vera vita morale, la vera libertà, è il consapevole e volontario inserimento in una
comunità, un inserimento non tanto regolato da leggi, quanto vissuto nel costume di un
popolo, nella sua storia, nelle sue tradizioni, nelle sue istituzioni.
La vera libertà e la vera virtù non si acquistano dunque obbedendo formalmente a una legge
(diritto) o al dovere per il dovere (moralità), ma dedicandosi alla comunità in cui si vive, al
bene del proprio popolo.
La comunità perfetta è lo Stato (terzo momento dell’eticità), ma a questo sono presupposte
la famiglia (primo momento dell’eticità) e la società civile (secondo momento dell’eticità).
La prima dimensione dell’eticità è
• la famiglia, mediante la quale gli individui entrano a far parte di un primo nucleo della
società.
Della famiglia Hegel ha sempre avuto un concetto molto alto; ha sempre sottolineato il
carattere spirituale del vincolo familiare, dato dalla volontà, dal consenso.
L’eticità della famiglia è data infatti dal vincolo volontario del matrimonio e dall’educazione dei
figli, capaci di conferire spiritualità all’unione naturale ed economica che sta alla base della
famiglia.
Con la crescita, i figli sono destinati ad allontanarsi dalla famiglia d’origine e a entrare, in virtù
della loro libera azione individuale, nella dimensione della
• società civile.
La società civile è il secondo momento dell'eticità: è l'unione di più famiglie determinata dai
bisogni economici.
La società civile di cui parla Hegel è soprattutto quella delle classi o ceti (agricoltori, artigiani
e commercianti, funzionari dello Stato) e delle corporazioni di mestiere.
In questo mondo, che è il mondo del lavoro, segnato dal fenomeno della concorrenza, il
borghese agisce anzitutto secondo interessi economici.
Il più alto grado dell'eticità è
• lo Stato.
Lo stato è per Hegel la realizzazione piena dello spirito (e dunque dell’uomo).
Lo Stato non va confuso con la società civile, poiché mentre questa, come si è detto, nasce
dai bisogni degli individui, lo Stato è logicamente presupposto agli individui, come la
totalità di un organismo è presupposta logicamente alle sue parti.
Come le parti di un organismo non hanno senso se non nel tutto, così gli individui umani non
sono autenticamente uomini se non nello Stato.
La riflessione politica dell'età moderna aveva affermato l'esistenza di una condizione pre-
statuale (lo stato di natura), dalla quale l'uomo uscirebbe attraverso il cosiddetto contratto
sociale, patto per il cui tramite, in cambio di protezione e garanzia, l'individuo accetta di unirsi
ad altri individui e di sottomettere la propria volontà alla legge.
Da tale riflessione era sorta, appunto, la teoria democratico-liberale dello Stato: la sovranità
appartiene al popolo e lo Stato è uno strumento volto a garantire la sicurezza e i diritti
(naturali) degli individui. Hegel rifiuta questa concezione. La sovranità appartiene allo Stato stesso, ciò significa
che lo Stato non è fondato sugli individui, ma sull'idea di Stato, ossia su un concetto di
bene universale.
Non esistono diritti naturali pre-esistenti e lo Stato, pertanto, non può ridursi alla tutela dei
particolarismi delle persone.
Pur riconoscendo i diritti degli individui, l’essenza dello Stato non consiste nell’essere in
funzione degli individui, anzi nello Stato i diritti degli individui svolgono un ruolo di
secondo piano.
Ciò non significa, tuttavia, che Hegel propenda per un modello di Stato dispotico o
reazionario.
Lo Stato hegeliano, pur essendo assolutamente sovrano, non è, per questo, uno Stato
illegale, perché esso deve operare secondo le leggi e nella forma delle leggi.
Lo Stato che Hegel prefigura è quindi lo Stato di diritto fondato sul rispetto delle leggi e sulla
salvaguardia della libertà formale dell'individuo e della sua proprietà.
La monarchia costituzionale moderna è perciò il modello politico più rispondente.
7. La storia
Lo Stato è l'espressione dello spirito di un popolo, ma i popoli sono molti e spesso in
contrasto tra loro.
Le relazioni degli Stati tra loro non possono, secondo Hegel, essere regolate da un diritto
internazionale che sia espressione della federazione tra gli Stati.
Hegel non accetta l'idea di un diritto internazionale in grado di regolare i rapporti tra gli Stati e
pertanto ritiene che tali rapporti non possano che essere così come sono, vale a dire
rapporti di forza che si risolvono spesso con la guerra.
Dato che realizza concretamente lo spirito di un popolo, uno Stato si pone di fronte agli altri
come un organismo indipendente e sovrano, che vuole essere riconosciuto dagli altri Stati.
Ogni Stato sta di fronte agli altri Stati come l’individuo di fronte agli altri individui, sulla base
dei sentimenti, degli interessi, delle esigenze e dello spirito del popolo che incarna, fatalmente
diversi e anche contrastanti con quelli di altri popoli.
Lì dove le divergenze sono inconciliabili, solo la guerra può regolare la contesa: Hegel rifiuta
dunque il cosmopolitismo illuministico e l’idea utopistica di una condizione di pace perpetua
tra gli Stati.
La natura degli Stati è tale da determinare una situazione di conflittualità e negatività
endemiche nel rapporto tra gli stessi: la guerra è una condizione pertanto necessaria e
insuperabile.
Il teatro di tali rapporti è appunto la storia.
Come ogni realtà anche la storia è razionale e il compito del filosofo è quello di cogliere e
di manifestare questa razionalità.
Per questo la filosofia della storia ha un compito di giustificazione: essa cioè deve
dimostrare che tutto ha un significato, anche il male, e contribuisce al bene, al
raggiungimento di un bene superiore.
La storia non è fatta dagli individui, ma dai popoli: gli individui non sono che i mezzi per la
vita dei popoli; cercando infatti di perseguire i loro fini particolari, essi realizzano un fine
universale che sfugge alla loro consapevolezza.
Qui si rivela "l'astuzia della ragione", che adopera le passioni degli individui per realizzare fini
universali.
8. Lo spirito assoluto
Lo spirito assoluto, con le sue espressioni di arte, religione, filosofia, è collocato da Hegel,
oltre lo spirito oggettivo, giudicato dalla storia.
Anche l'arte, la religione e la filosofia, come i popoli, gli stati, le leggi etc., vivono nella storia e
tuttavia, secondo Hegel, esse, più di questi, si sottraggono alla storia poiché esprimono
valori ancor più universali.
Proprio per questo lo spirito assoluto, cioè il momento in cui l'idea giunge alla piena
coscienza della propria infinità (vale a dire del fatto che tutto è spirito e che non vi è nulla
all'infuori dello spirito), non può che esprimersi, sempre in modo dialettico, in tali forme, in
qualche modo, soprastoriche.
Arte, religione e filosofia non si differenziano per il contenuto, ossia per l'oggetto da esse
considerato che è l'assoluto stesso, ma per la forma nella quale ciascuna di esse presenta
questo stesso contenuto, questo stesso oggetto infinito.
9. L'arte
L'arte rappresenta il primo gradino attraverso cui lo spirito acquista coscienza di se
medesimo. La forma nella quale essa conosce l'assoluto è l'intuizione sensibile.
Ciò significa che l'uomo acquista consapevolezza della propria assolutezza o infinità,
innanzitutto, mediante forme sensibili (figure, parole, musica etc.).
Questa consapevolezza di sé è data in modo immediato e intuitivo, cioè attraverso una
partecipazione-fusione del soggetto con il proprio oggetto, dello spirito con la materia;
fusione-partecipazione che è, appunto, tipica della creazione artistica.
10. La religione
Nella religione l'assoluto si manifesta nella forma della rappresentazione.
Per rappresentazione Hegel intende un modo di pensare che sta a metà strada fra l'intuizione
artistica e la riflessione filosofica e che si esprime cioè più per metafore e analogie, che
per concetti (la religione è un sentimento dell'assoluto che tende a tradursi in pensiero).
La caratteristica della religione è quella di considerare il suo oggetto (l'assoluto/dio) come
trascendente lo spirito umano, trascendenza che essa cerca di superare nel culto, cioè
nella preghiera, nella devozione, nella liturgia.
a filosofia
La filosofia è finalmente non solo un sapere l'assoluto nella sua totalità (come già l'arte e la
religione) ma è essa stessa sapere assoluto, ossia sapere nella forma più perfetta.
Questa forma è appunto quella filosofica del sapere per concetti.
Mentre, in altre parole, nell'arte lo spirito è intuito e nella religione avvertito
sentimentalmente, nella filosofia l'assoluto è semplicemente dimostrato.
La filosofia non ha quindi bisogno di forme sensibili, né di un culto o di una liturgia, alla
filosofia appare sufficiente la fatica del concetto.
Come tutta la realtà, anche la filosofia conosce uno sviluppo, una processualità dialettica al
culmine della quale Hegel non può che collocare l'idealismo, ovvero la sua stessa filosofia.
Di conseguenza i vari sistemi filosofici che si sono succeduti nel tempo non possono essere
considerati un insieme accidentale e disordinato di opinioni, ma un vero e proprio cammino
necessario verso la forma definitiva di sapere, che è appunto rappresentata dal sistema
hegeliano.
La filosofia pertanto è storia della filosofia e con questo Hegel ribadisce, ancora una volta, il
compito del sapere, che è quello di dimostrare la razionalità di ciò che esiste.
La filosofia, quindi, ha il compito primario di “comprendere ciò che è”, spiegando il modo
reale e complesso – dialettico, appunto – con il quale la ragione si attua nella storia.
La filosofia deve spiegare concettualmente, ossia mostrare la logica interna e il grado di
razionalità della storia e della realtà.
Questa comprensione concettuale, questa consapevolezza finale, è appunto lo spirito
assoluto: la filosofia – afferma Hegel – è “il proprio tempo appreso in pensieri”.
La filosofia non ha quindi il compito di dare vita a una dottrina su come deve essere il mondo,
ma deve ricostruire lo svolgimento della razionalità che ha portato il mondo a essere
quello che è.
Per questi motivi, la filosofia è come la nottola di Minerva (la civetta sacra alla dea Atena-
Minerva, simbolo della sapienza), che inizia il suo volo al tramonto (ovvero quando la realtà si
è già compiuta, quando le opere del giorno sono compiute, e la realtà ha già preso forma).
Questo ruolo finale e “comprensivo” della filosofia implica che la stessa deve mantenersi in
pace con la realtà e rinunciare alla pretesa, assurda, di determinarla e guidarla.
Sebbene sia stata interpretata – nemmeno troppo a torto – in senso conservatore, come
giustificazione di ogni cosa passata e presente, questa considerazione del ruolo della filosofia
può a buon diritto essere letta in altro modo, ossia come necessità di giudicare i fenomeni
in base alla logica interna che le muove e che ne ha determinato l’accadere.
martedì 31 maggio 2016
Nietzsche: dalla decadenza allo splendore.
Nietzsche può essere diviso in tre periodi di pensiero, i quali rispecchiano esattamente il percorso entro il quale si muove l'uomo del superamento.
La nuova figura che mette in campo il filosofo ha bisogno di un concepimento, una crescita ed un distacco (o abbandono che dir si voglia).
Il primo periodo è detto pessimistico e lo leggiamo attraverso un testo geniale:
'La Nascita della tragedia dallo spirito della musica'.
Questo saggio è concepito come breve testo poi diventato importante sotto suggerimento dell'allora amico Wagner.
La struttura:
Tentativo di autocritica (sette paragrafi);
Prefazione a Richard Wagner;
La Nascita della tragedia, ovvero grecità e pessimismo (venticinque capitoli).
La tragedia, qui, è vista come opposta alla storia. Il filosofo si chiede se sia l'origine del pessimo greco e se vi sia un qualche pessimismo nobile. La risposta è che il pessimismo greco è nobile dato che è composto di due forze: dionisiaco e apollineo.
Queste sono due categorie che torneranno in tutto il pensiero successivo: al dionisiaco è associata l'estasi e l'ebbrezza orgiastica, la spontaneità della materia, il calderone delle passioni.
All'apollineo è a associata la forma plastica, la bellezza armoniosa dei corpi, la proporzione e la moderazione.
Cosa ha fatto la polis greca dopo le grandi tragedie? Ha livellato il sentire umano, ha fatto sì che apollineo e dionisiaco si giustapponessero.
Il periodo della giovinezza è invece chiamato illuminista; di questo dobbiamo ricordare:
'Umano, troppo umano' in cui c'è la rottura con i vecchi maestri, Schopenhauer e Wagner.
Contro il grande musicista dirà di essere scaduto nel decadentismo con il Parsifal, di aver fatto suo il più becero e arcaico misticismo.
Abbandona la metafisica dell'artista per abbracciare la scienza, dicendo che l'arte è solo il residuo di una cultura attaccata troppo al mito.
Per Nietzsche il redentore, in questo periodo, sarà il filosofo educato alla scienza: sarà illuminista nel senso che si ritroverà impegnato in un'opera di critica della cultura tramite la scienza. La scienza diventa metodo di pensiero abbandonando la sfera della particolarità.
Il suo metodo sarà critico e di tipi storico-genealogico in quanto non esistono realtà immutabili e statiche, ogni cosa è l'esito di un processo che va ricostruito.
I concetti più affascinanti sono lo spirito libero e la filosofia del mattino.
Lo spirito libero è nella figura del viandante.
Il viandante non ha una identità definita, non ha nemmeno una meta definita. Ha rinunciato allo scopo perché ha capito che non esiste scopo.
La sua ombra lo accompagna, sin dal primo mattino, essa è importante poiché è il suo passato e il suo futuro, essa grava sul presente.
Il viandante, nella sua erranza solitaria, dialoga con sé stesso, con la sua ombra.
L'ombra ha una simbologia particolare: non vi è luce senza ombra, essa è il lato nascosto con il quale ci confrontiamo.
Associato all'ombra vi è il simbolo della meridiana: tempo ed ombra; l'ombra segna il tempo e ne determina la scansione. È passato e futuro, cioè fantasma e proiezione.
Il presente è l'attimo ed è simboleggiato dal meriggio: l'ora del giorno in cui l'ombra è più corta. Il presente ha questa valenza di tempo non tempo.
L'ombra è il viandante 'mi sembra quasi di sentire parlare me stesso, solo con una voce più flebile della mia '.
Nella filosofia del mattino, della ricerca, deve esserci la capacità di ascolto e di compressione del sé.
L'altro testo del periodo illuminista è chiamato 'Le considerazioni inattuali': raccolta di saggi iniziati nel 1873 e conclusi nel 1876.
Dovevano essere 13 in origine ma ne sono stati pubblicati solo 4. Si tratta di critiche a grandi personaggi, maestri e coevi al filosofo.
L'ultima fase del pensiero di Nietzsche, nonché la più violenta, va dal 1882 fino al 1900 (anno della sua morte).
Si chiama fase nichilista e della volontà di potenza.
Questa è la fase in cui l'uomo del superamento, l'Oltreuomo, abbandonando vecchi stilemi etici, rinascerà a vita nuova, come la fenice dalle sue ceneri.
'Gott ist tot! Got bleibt tot! Und wir haben ihn getötet!'
'Dio è morto! Dio resta morto! E noi l'abbiamo ucciso!'
(La Gaia Scienza)
Le tematiche di questa fase finale, sebbene ardua e lunga, del lavoro nietzschiano sono: la libertà, la spontaneità, la pienezza assunta come responsabilità di ogni azione o decisione, il comportamento come specchio della decisione individuale, l'annullamento di ogni morale che porti con sé delle regole, il rifiuto della fede come guida.
L'emblema di tutto ciò è l'uomo folle che cerca Dio con la lanterna accesa in pieno giorno e va dicendo che 'Dio è morto'.
L'uomo folle incontra solo lo scetticismo e l'indifferenza della gente intorno a sé. Lui arriva troppo presto, egli è il profeta dell'omicidio che si sta perpetrando.
Questo enorme evento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino.
In questa fase visionaria Nietzsche esprime il concetto dei concetti: tutte le verità e le teorie troppo umane che si presentano come uniche, eterne o assolute hanno bisogno di essere smascherate.
In nome del dionisiaco bisogna amare la terra e allontanare il Cristianesimo che ha avvelenato l'umanità.
Il Cristianesimo è la decadence per eccellenza è ha reso tutti schiavi in nome della sua morale.
Bisogna togliere i valori cristiani dal mondo perdendo tutti i punti di riferimento, entrando nella fase decisiva della tabula rasa.
Il Nichilismo è allo stesso tempo annullamento ed impegno: esso ha il dovere di rifiutare tutto ciò che nel passato è stato dato come dogma, è il cammino (o il processo) con cui l'umanità deve togliere la maschera alla mendacia del mondo, con l'aiuto costante di ciò che abbiamo imparato durante l'Illuminismo.
Tale processo è attivo e consiste nell'accettare la natura casuale della realtà e della falsità: esso è ciò che contraddistingue l'Oltreuomo.
'Man muss noch Chaos in sich haben, Stern gebären zu können'
'Bisogna avere ancora il caos dentro di sé per generare una stella che danza'
Lo Über-mensch di Nietzsche ha subito una grave manipolazione a livello di traduzione: per molto tempo è stato reso con Superuomo (allora la parola tedesca sarebbe dovuta essere Oben-mensch), solo recentemente si è passati a designare tale termine con il neologismo Oltreuomo (a volte con Uomo del Superamento).
Chi è l'Oltreuomo? È colui che ha superato l'uomo andando oltre la sua condizione, è colui che dà significato alla vita con dei nuovi valori, è colui che può e deve fondare un nuovo mondo, è colui che dice sì alla vita non pentendosi mai delle scelte che fa.
l'Oltreuomo è il discepolo di Dioniso poiché accetta la vita in tutte le sue manifestazioni, assaporandone il piacere del divenire nella eterna alternanza di vita e morte.
Esso è il capostipite del pessimismo coraggioso, quel modus operandi che riesce a carprire sensibilmente le cose andando oltre il semplice bene ed il semplice male.
Questa nuova dimensione spaziale ha anche una nuova dimensione temporale: l'Oltreuomo si muove nell'istante che è sempre centro del suo tempo e di cui è sempre protagonista (questa tematica si chiama Eterno Ritorno: trattasi di dimensione temporale in cui non esiste passato ma solo il presente, sottoforma di attimo, al massimo il futuro, sottoforma di volontà e desiderio all'azione).
Per l'Oltreuomo ogni attimo, sempre uguale a sé stesso, è lanciato all'infinito (come i dadi di cui si possono fare infiniti lanci i quali daranno numeri e combinazioni finite).
All'Eterno Ritorno è collegato il tema della Volontà e della Potenza: la Volontà di Potenza è la forza creatrice ed impulsiva dell'attimo che ci è dato. Essa è l'essenza stessa della vita umana. l'Oltreuomo è capace di assumere su di sé tutto il peso e la leggerezza del volere che può e sa di potere essere già oltre.
Il potere ed il volere si intrecciano indissolubilmente grazie allo spirito di Dioniso che ci dice di accettare ogni cosa, dicendo sì a tutto ciò che si è patito come se lo si fosse agito.
giovedì 13 marzo 2014
un passo indietro: Kierkegaard
vita:
nasce a Copenhaghen il 5 Maggio 1813;
crebbe in un ambiente dalla religiosità severa;
si iscrisse alla facoltà di teologia danese che era di stampo hegeliano;
1840: si laurea con una dissertazione dal titolo "Sul concetto di ironia con particolare riguardo a Socrate";
non intraprese la carriera di pastore alla quale la sua laurea lo abilitava;
1841: segue le lezioni di Schelling a Berlino;
si ritira a vita privata e manda a monte il suo fidanzamento con Regina Olsen;
visse nella costante preoccupazione del giudizio altrui;
muore nel 1855.
Eventi che lo segnarono:
Spesso nel suo Diario parla di "un grande terremoto", sconvolgimento di cui non si è ancora compresa la natura; e cita anche, sempre nel suo Diario, "una scheggia nelle carni", dispiacere che lo assillò per tutta la vita (tanto da fargli ripetere questa frase anche sul letto di morte). Forse questa scheggia è il movente che gli ha impedito di portare a termine il fidanzamento (?) o forse è il nome con cui ha chiamato, per tutta la vita, l'oscura minaccia della costante apatia, o, ancora, è il terrore che lo ha accompagnato ogni giorno impedendolo nelle scelte.
Inoltre egli volle sempre mantenersi a distanza dai suoi libri: pubblicò ogni testo con pseudonimi sempre diversi (tenendosi in un rapporto poetico).
Le Opere:
1843 Enten-Eller (tradotto con Aut-Aut), di cui fa parte Diario di un seduttore;
1843 Timore e Tremore;
1844 Il Concetto dell'Angoscia;
1849 La malattia mortale;
1850 L'esercizio del Cristianesimo;
1855 Discorsi Religiosi.
Il Pensiero:
l'esistenza è possibilità; la possibilità ha un carattere negativo e paralizzante; ogni possibilità è sempre "possibilità che no" oltre che "possibilità che si".
Ogni possibilità che si prospetta è la minaccia dell'angoscia che incombe, egli scriveva "ciò che io sono è un nulla".
A fronte delle possibilità c'è sempre una scelta che incombe, che preme.
Vi sono tre stadi da affrontare nella vita: lo stadio estetico, quello morale o etico, ed un terzo, assai particolare, destinato a pochi o pochissimi, ovvero lo stadio religioso.
Nel primo vi è la vita vissuta attimo dopo attimo, nel piacere estremo (figura di riferimento Don Giovanni); il rovescio della medaglia è però la noia e la ripetizione eterna di cosa già consumate.
Nel secondo vi è la scelta di una vita dedita alla famiglia e al lavoro e la figura di riferimento è il marito, il buon marito, ovvero chi sceglie una volta e sceglie per sempre di procrastinare la propria goduria a favore delle persone che ha accanto.
Il terzo stadio è una via per eletti: solo chi riesce a superare l'etica o la morale comune può accedervi. Il simbolo è Abramo, paradosso religioso per eccellenza, colui che non si sarebbe fatto nessuno scrupolo ad uccidere suo figlio in nome di Dio.
lunedì 3 marzo 2014
POSITIVISMO EVOLUZIONISTICO E DARWIN
L'evoluzione è manifestazione di una realtà infinita e ignota.
Le teorie sull'evoluzione si basano sulla precedente dottrina del trasformismo biologico (Lamark e Darwin stesso).
L'evoluzionismo biologico, la teoria secondo cui le specie animali e vegetali si trasformano l'una nell'altra, fu dapprima ipotizzata da Buffone poi difesa, senza successo, da Lamark e Saint-Hilaire. Non trionfò nella scienza fino a che non venne eliminata la teoria delle catastrofi di Cuvier, secondo la quale la terra è stata teatro di successivi cataclismi che ne hanno cambiato la faccia e periodicamente distrutte le specie viventi. Viene eliminata da Lyell e solo allora Darwin potè dimostrare l'evoluzione.
L'opera omnia di Darwin è L'ORIGINE DELLA SPECIE apparsa per la prima volta nel 1859 (fu un best seller!).
La teoria si fonda su:
1. l'esistenza di piccole variazioni organiche che si verificano negli esseri viventi lungo il corso del tempo e sotto l'influenza delle condizioni ambientali. Queste variazioni, secondo le statistiche, sono vantaggiose per cho ne è portatore.
2. la lotta per la vita si verifica necessariamente tra gli individui che vivono a causa della tendenza di ogni specie a moltiplicarsi seguendo una progressione geometrica: gli individui con più mutamenti organici vantaggiosi hanno maggior probabilità di sopravvivenza, essi lasceranno in eredità questi caratteri accidentali acquisiti; è la legge della selezione naturale.
Altra opera importante: LA DISCENDENZA DELL'UOMO DEL 1871
quin parla del fatto che non esistono differenze fra uomini e mammiferi più elevati per quel che riguarda le facoltà mentali. Ciò, secondo Darwin, non scalfisce la dignità umana.
scarica pdf
https://drive.google.com/file/d/0B5DBNWZakYzgUTJUYm5ycGIzRTQ/edit?usp=sharing
SPENCER
SCARICA PDF
https://drive.google.com/file/d/0B5DBNWZakYzgdE9pX2dCS290VjA/edit?usp=sharing
COMTE
Auguste
Comte è stato il fondatore del positivismo
francese.
Nacque nel 1798 a Montpellier da una famiglia modesta, “eminentemente
cattolica e monarchica”, fu discepolo e segretario (e in seguito
deciso antagonista) di Saint-Simon, allievo della famosa École
Polytechnique. Ebbe sufficiente dimestichezza con la matematica; fu
il padre ufficiale della sociologia, e l’esponente, per certi
aspetti, più rappresentativo dell’indirizzo di pensiero
positivistico nel suo complesso.
Questo scrive Comte del suo
itinerario morale ed intellettuale:
“Avevo già compiuto i
quattordici anni che già provavo il bisogno fondamentale di una
rigenerazione universale, a un tempo politica e filosofica, sotto
l’attivo impulso della salutare crisi rivoluzionaria la cui fase
principale aveva preceduto la mia nascita. La luminosa influenza di
una iniziazione matematica avuta in famiglia, felicemente sviluppata
all’École Polytechnique, mi fece istintivamente presentire la sola
via intellettuale che poteva realmente condurre a questo grande
rinnovamento”. E aggiunge che fu nel 1822 che egli ebbe chiaro il
suo progetto filosofico “sotto la costante ispirazione della mia
grande legge relativa all’insieme dell’evoluzione umana,
individuale e collettiva”: la legge dei tre stadi.
Si tratta
della legge secondo la quale l’umanità, al pari della psiche dei
singoli uomini, passa attraverso tre stadi:
a) quello
teologico;
b) quello metafisico;
c) quello positivo.
Scrisse
Comte nel Corso di filosofia positiva: “Studiando lo sviluppo
dell’intelligenza
umana
[…] dal suo primo manifestarsi ad oggi, io credo di aver scoperto
una grande legge fondamentale […]. Questa legge consiste in ciò:
che ciascuna delle nostre concezioni principali, ciascun ramo delle
nostre conoscenze passa necessariamente per tre stadi teorici
differenti: lo stadio teologico, o fittizio; lo stadio metafisico, o
astratto; lo stadio scientifico, o positivo […]. Di qui tre tipi di
filosofia,
o di sistemi concettuali generali, sull’insieme dei fenomeni, che
si escludono reciprocamente. Il primo è un punto di partenza
necessario dell’intelligenza umana; il terzo è il suo stato fisso
e definitivo; il secondo è unicamente destinato a servire come tappa
di transizione”.a)
Nello stadio teologico i fenomeni vengono visti come “prodotti
dell’azione diretta e continua di agenti soprannaturali, più o
meno numerosi”; la spiegazione di eventi è affidata alla divinità
e il periodo in cui rimase in vigore questo tipo di stadio è quello
del medioevo;b)
nello stadio metafisico essi vengono spiegati ad opera di essenze,
idee o forze astratte (i corpi si unirebbero grazie alla “simpatia”;
le piante crescerebbero a causa della presenza dell’”anima
vegetativa”; l’oppio- come ironizzava Molière
-
addormenta perché possiede la “virtù soporifera”);
la
spiegazione degli eventi è quindi affidata alla ricerca di un
principio esterno (l’assoluto,
la volontà) e si riferiscono al periodo dell’Illuminismo
e
del Romanticismo;c)
è soltanto “nello stadio positivo, che lo spirito umano,
riconoscendo l’impossibilità di ottenere conoscenze assolute,
rinuncia a domandarsi qual sia l’origine e il destino
dell’universo, quali siano le cause intime dei fenomeni, per
cercare soltanto di scoprire, con l’uso ben combinato del
ragionamento e dell’osservazione, le loro leggi effettive, cioè le
loro relazioni invariabili di successione e di somiglianza”; quello
che più interessa nel periodo del Positivismo non è il vero
metafisico, bensì è la verificabilità dei fenomeni: bisogna
ricercare una legge che verifichi i fatti, perché se il fenomeno è
ripetitivo significa che è anche vero. La verificabilità non va
confusa con la veridicità, che si rifà alla verità, tenendo
presente sempre che la verità assoluta non esiste se non come
utopia.
Tale, dunque, è la legge dei tre stadi, il concetto chiave
della filosofia di Comte. Legge che troverebbe conferma sia nello
sviluppo dei singoli (ogni uomo è teologo nella sua infanzia, è
metafisico nella giovinezza; è fisico nella sua maturità), sia
nella storia degli uomini.
scarica pdf
https://drive.google.com/file/d/0B5DBNWZakYzgUkJfZmdBTjc1NWM/edit?usp=sharing
positivismo introduzione
Dottrina filosofica che fonda la conoscenza solo sui fatti e deriva la certezza esclusivamente dall'osservazione propria alle scienze sperimentali, con l'esclusione di ogni apriorismo e l'ammissione che la conoscenza della "cosa in sé" è inattingibile. Positivo è quindi il reale in opposizione al chimerico, il certo in quanto posto sul fondamento sicuro del fatto. Il termine "positivo" si trova per la prima volta nel conte di Saint-Simon, che lo acquisisce al campo strettamente filosofico (Système de politique positive), ma che si limita a un generico impegno della filosofia per un metodo d'indagine che si modellasse sulla ricerca scientifica. Le vere origini del positivismo però sono da ricercarsi nell'illuminismo inglese e francese: dal primo dedurrà le matrici empiristica e utilitaristica; dal secondo il principio (elaborato da Condorcet) che il progresso di tutta la conoscenza dipende dalla costituzione e dal progresso della scienza positiva. Ambiente favorevole allo sviluppo del positivismo fu quello formatosi a partire dal 1830: progresso delle scienze naturali, prime applicazioni tecniche delle scoperte scientifiche e loro riflessi in campo sociale ed economico, nuova importanza assunta dal lavoro. In Francia A. Comte (a cui si deve la prima elaborazione e sistemazione del positivismo) partì dal principio già formulato da Fourier: "Le cause primordiali non ci sono note, ma esse sottostanno a leggi semplici e costanti, che si possono scoprire per mezzo dell'osservazione e il cui studio costituisce l'oggetto della filosofia naturale"; e da questa premessa svolse la sua ricerca giungendo alla definizione della filosofia come "scienza dei fatti concreti". Nel suo fervore organicistico Comte aveva diviso la storia in tre stadi: teologico o immaginativo, in cui l'uomo immagina i fenomeni un prodotto di agenti soprannaturali; metafisico o astratto, in cui l'uomo tenta di spiegarsi il mondo come effetto di forze astratte; positivo o scientifico, in cui l'uomo ha acquistato la coscienza dell'impossibilità di attingere l'assoluto e si limita alla conoscenza delle leggi che reggono i fenomeni. Questo rigore scientifico venne meno nel Comte vecchio, che al principio intellettualistico sostituì il sentimento, fondando su di esso addirittura una religione (inconsistente), di cui si autonominò sommo sacerdote. Fecondo e aperto a nuovi sviluppi fu il positivismo anche in Inghilterra, soprattutto per merito di J. Stuart Mill, impegnato a sottrarre la scienza morale alle sue consuete incertezze per stabilire invece per essa un fermo complesso di regole, che consentissero di superare le antitesi di egoismo e altruismo, d'individualismo e socialismo.
BIOLOGIA:
IL POSITIVISMO EVOLUZIONISTA
Estremamente
innovatrice, poi, sul piano delle scienze biologiche, fu la
rivoluzione profonda operata dal cosiddetto positivismo
evoluzionistico, fiorito sempre in Inghilterra, e il cui maggior
rappresentante fu Ch.
Darwin, il
quale, nella sua opera L'origine delle specie (1859), enunciò per la
prima volta le leggi fondamentali del trasformismo biologico, sempre
in un ambito strettamente scientifico, mentre il suo connazionale H.
Spencer
sostenne una teoria universale dell'evoluzione come processo continuo
e necessario, operante sia nella natura sia nella società. Nel tardo
positivismo H. Taine tentò di abolire ogni distinzione tra scienza
della natura e scienze sociali, dichiarando l'identità di natura tra
i loro prodotti: "Vizi e virtù sono prodotti allo stesso modo
del vetriolo e dello zucchero". Sulla cruda visione di questo
positivismo si muoverà poi il naturalismo
letterario.
FILOSOFIA:
LA DOTTRINA IN GERMANIA In Germania il positivismo si colloca in una posizione più propriamente definita "materialismo": la sua matrice deriva dal positivismo franco-inglese e come fatto culturale tedesco è una diretta derivazione del forte progresso compiuto dalle scienze naturali e dalla biologia. Si presenta come oppositore dell'eccessivo metafisicismo generato dall'idealismo (Basta con la metafisica!), ma per altro verso è contrario anche al romanticismo, anche se a lui si accompagna nel voler raggiungere il reale: il positivismo sul versante dell'oggetto; il romanticismo nella zona del soggetto.
FILOSOFIA: LA DOTTRINA IN ITALIAIn Italia seguaci del positivismo furono Carlo Cattaneo, deciso oppositore di ogni metafisica e di ogni scienza aprioristica, Roberto Ardigò, che concepì la filosofia come disciplina dell'organizzazione dei dati scientifici e operò un'originale riforma delle dottrine evoluzionistiche di Spencer, e i pedagogisti A. Gabelli e A. Angiulli
scarica pdf
https://drive.google.com/file/d/0B5DBNWZakYzgSUh0N05BaGJ4S2c/edit?usp=sharing